La Mignottocrazia in rima
Le mignotte giammai furono gigli.
Ne son testimonianza i loro figli:
erano detti di “m(atris) ignotae”,
[continua]
in quanto esposti sulle tante ruote
dei monasteri: prole abbandonata
da madre abbietta, e quindi, depravata.
Per “mignotta” puoi pure scomodare
“mignoter”: dal francese “accarezzare”.
Ma la mignotta, donna incline al vizio,
dà man forte a un antico pregiudizio.
E’ inutile che ci giriamo in tondo:
è noto che, da quando esiste il mondo
si fa fatica, e sempre si farà
a riconoscere la qualità.
Si perdona il delitto più efferato,
ma il successo non viene perdonato.
Se qualcuno, che credevamo un fesso
è più bravo di noi, ed ha più successo,
non ci viene da dir: m’ero sbagliato.
Diciamo invece: “E’ un gran raccomandato!”
Se tocca a me, è normale: io sono bravo,
quello che ho avuto, me lo meritavo.
Se invece l’ha raggiunto il mio vicino
è perché è un leccaculo, un traffichino. (un furbo, un falso, un traffichino)
E se è una donna, poi, delle due l’una:
o è soltanto questione di fortuna,
oppure, anche se è solo un po’ piacente,
l’ha data all’assessore, o al presidente.
Il suo successo, ognuno ci scommette,
o dipende dal “culo”, o dalle tette.
Il successo degli altri, insomma, scotta:
la donna che l’ottiene, è una mignotta.
Il mignottismo, pubblico e privato
indubbiamente c’è, c’è sempre stato:
ma è un grande abuso, una carogneria
quest’accusa di mignottocrazia!
La Mignottocrazia
Molto spesso chi parla di “mignottocrazia” lo fa per sminuire gli eventuali meriti di una donna.
In verità, l’arte di sminuire i successi altrui viene riservata anche agli uomini: il successo di un altro si è spesso propensi a considerarlo frutto della fortuna che ha avuto, e non delle sue capacità. La vita è tutta questione di culo! Chiedetelo a qualsiasi fallito, e ve lo confermerà.
All’origine di quest’espressione c’è un’evidente allusione a quel tipo di sessualità che una volta si definiva contronatura. Più che ad “avere culo”, si allude al darne: ad una disponibilità sessuale che facilita, o permette, di ottenere, senza nessun altro merito, molti vantaggi. Quando viene impiegata per l’uomo, quest’espressione suona ancora più oltraggiosa che per la donna.
Questa diffusa formula denigratoria, chiaramente tesa a sminuire i meriti del destinatario/a, non vuol dire che non esistano situazioni in cui la sessualità sia (o sia stata) merce di scambio per ottenere avanzamenti in carriera, anche politica: questo però non autorizza né giustifica delle generalizzazioni qualunquiste e pericolose.
Per una bella donna, pensare che non ci sia altro sistema per avere successo, oltre che essere causa di depressione rischia infatti di attivare una profezia autoavverantesi.
Ad ogni modo, anche nel peggiore dei casi, parlare di “mignottocrazia”
( letteralmente “governo delle mignotte”) sarebbe improprio.
In senso stretto, la mignottocrazia, cioè la presenza di mignotte in posti di potere, è un paradosso. Una situazione impossibile da realizzarsi.
Si dovrebbe infatti parlare di “androcrazia” (governo degli uomini): perché è un uomo (e come potrebbe essere altrimenti?) quello che decide, in cambio di favori sessuali, di assegnare ad una mignotta un posto di potere. Mettere una o enne mignotte in posti di potere sarebbe l’ effetto, e non la causa, di una grave anomalia del sistema politico.
E’ dunque fuorviante parlare di mignottocrazia: allo stesso modo, sarebbe stato sbagliato parlare di “equicrazia” (da “equus”, cavallo) a proposito della nomina a senatore, fatta da Caligola, di Incitatus, il proprio amatissimo cavallo.
(Per amore di verità (storica), Caligola aveva solo minacciato di farlo, per sottolineare il proprio potere e l’inutilità del senato. Ma non aveva osato tanto, pur essendo un imperatore romano …)
In casi di eventuali rapide carriere politiche dovute all’avvenenza ed alla disponibilità sessuale, si dovrebbe pertanto parlare di “fallocrazia”. Anche se le recenti cronache politiche fanno più pensare agli inevitabili effetti collaterali di una “gerontocrazia” (ma questa è un’altra storia, anche se, purtroppo, è la nostra).
Il neologismo “mignottocrazia” è meno “neo” di quanto si creda: non è nato, infatti, negli ultimi mesi. A coniarlo, alla fine del secolo scorso, dunque molto tempo prima che l’attualità politica ne determinasse una insospettabile diffusione, è stato lo studioso di comportamenti Claudio Ciaravolo, psichiatra e antropologo.
In un convegno scientifico lo studioso napoletano ha utilizzato questo termine colorito e provocatorio per mettere in evidenza le grottesche (e drammatiche) derive della società dell’immagine in cui viviamo. “Quando i media alimentano e impongono un modello di donna esclusivamente centrato sulla seduttività si rischia una “mignottizzazione” della società. Le “mignotterie” che vengono proposte in televisione, al cinema, in pubblicità, possono portare, un po’ per volta, alla “mignottocrazia”: all’imposizione, cioè, di un modello retrivo, spesso grottesco e ridicolo, di donna che si comporta e somiglia sempre più fisicamente a chi è costretta a presentare e offrire il proprio corpo come fa una mignotta.
Conseguenza della “mignottocrazia” - continuava in quella sede Ciaravolo - è un inarrestabile e ubiquitario protagonismo del chirurgo plastico con conseguenze assai pericolose per la salute. Quella mentale.”
Lavorando intorno al tema dello stile mignottesco prevalente nella società di oggi, un tema che possiede grosse implicazioni sociologiche e psicologiche, Claudio Ciaravolo ha distinto tre concetti fondamentali: la mignotteria, la mignottizazione e la mignottocrazia.
La “mignotteria” è l’uso indiscriminato e oltranzistico della seduzione in ogni aspetto della vita: un atteggiamento ad alto tasso di erotizzazione che, rinforzato dai media, conduce alla “mignottizzazione” della società civile.
La “mignottocrazia” è il potere assoluto che il modello di donna mignottizata possiede, ed esercita, in questo particolare momento storico.
Il neologismo “mignottocrazia” è meno “neo” di
quanto si creda: non è nato, infatti, negli ultimi
mesi. A coniarlo, alla fine del secolo scorso,
dunque molto tempo prima che l’attualità politica
ne determinasse una insospettabile diffusione,
è stato lo studioso di
comportamenti Claudio Ciaravolo,
psichiatra e antropologo.